Storia del sito Archeologico di Saint-Vincent

Brochure del Sito Archeologico di Saint-Vincent

Il ritrovamento del “sito archeologico” risale al 10 gennaio 1968, alle ore 3.00 del mattino, in seguito allo scoppio di una bomba posta in una finestrella dell’abside da uno squilibrato.

La Soprintendenza alle Belle arti di Aosta, allora, intervenne per riparare i danni e nel corso dei lavori – durati dal 1968 al 1972 – si scoprirono tracce di affreschi nel presbiterio e di mura antichissime sotto il pavimento della chiesa a testimonianza di una continuità di occupazione di detto spazio a partire dalle prime frequentazioni risalenti alla fine dell’età del bronzo/età del ferro fino al II-III-IV secolo d.C in cui si riscontrano nuclei di strutture con funzione termale.

La Preistoria

Nel territorio della Valle d’Aosta è stata individuata una serie considerevole di insediamenti riferibili all’Età del Ferro. Ad oggi nessuno di essi è stato scavato in modo sistematico e non è quindi possibile fornire un panorama completo sulla tipologia di occupazione del territorio lungo l’importante via di comunicazione fra la pianura padana e i paesi d’oltralpe.

Gli abitati dell’Età del Ferro appaiono distribuiti nel fondovalle principale e nelle valli laterali, ma sono riconoscibili esempi anche su alture ben rilevate e difendibili.

La continuità delle attività insediative nella zona è inoltre confermata dal ritrovamento, sia a Saint-Vincent che a Ussel, di alcune sepolture con tipiche armille di bronzo.

Nel sito di Saint-Vincent sono stati rinvenuti lacerti di potenti strutture a secco, probabilmente tracce di attività al limite di un insediamento protostorico di più ampie dimensioni. Le testimonianze più consistenti, che ricoprono un’area di circa trenta metri quadri, risultano databili alla Prima Età del Ferro, ad un’epoca compresa cioè tra il 1000 e il 500   circa a.C. La tipologia delle testimonianze e alcuni ritrovamenti sparsi potrebbero comunque suggerire un’origine più antica verso la fine dell’Età del Bronzo. Altre strutture di epoca e natura incerte, sono inoltre visibili in corrispondenza dell’angolo sud-orientale del percorso di visita, dove un muro a secco era associato con depositi combusti, ma privi di materiale ceramico.

Anche al di sotto delle più antiche strutture romane sono state riconosciute tracce di attività riconducibili alla Seconda Età del Ferro, in particolare occasionali materiali ceramici ed un frammento di selce, contenuti in strati sovrapposti in notevole pendenza da monte verso valle. Il materiale sembrerebbe comunque provenire da un’area insediativa situata a nord dell’attuale sito.

L’età romana

In una regione montuosa dal clima rigido e in presenza di un fiume nel fondovalle principale in cui sboccano torrenti dalle vallate laterali, i Romani dovettero porre in atto soluzioni di elevato livello progettuale e tecnico per realizzare con la “via delle Gallie” quel felice equilibrio fra territorio e ambiente che è alla radice di un successo protrattosi ben oltre il tempo dei suoi costruttori.

Dell’attrezzatura con miliaria, cippi in pietra con l’indicazione delle miglia posti lungo il percorso, restano oggi numerosi toponimi: Quart, Chetoz, Nus, Diemoz, rispettivamente, ad quartum, sextum, nonum, decimum – sottinteso miliarium – dalla città.

Due delle principali carte stradali dell’antichità, l’Itinerarium Antonini (fine III sec. d.C.) e la cosiddetta Tabula Peutingeriana (metà IV sec. d. C.), vera e propria guida illustrata, registrano il percorso da Eporedia (Ivrea) ad Augusta Praetoria (Aosta) e da qui ai valichi dell’Alpis Graia e dell’Alpis Poenina (colli del Piccolo e del Gran San Bernardo).

Entrambi questi strumenti di viaggio riportano lungo il tragitto valdostano, oltre a quello della colonia, nomi di abitati minori e di luoghi di sosta, quali Vitricium, Arebrigium, Ariolica e Eudracinum.

Nessuna testimonianza è invece fornita dalle fonti storiche circa la presenza di insediamenti nel territorio di Saint-Vincent, ma il passaggio della strada delle Gallie e la sua occupazione in età romana sono confermate dal rinvenimento di porzioni del tracciato stradale e di due ponti nel tratto compreso fra il torrente Cillian e il torrente Marmore. Indicativi della presenza di un possibile insediamento, oltre agli edifici rinvenuti sotto la chiesa di Saint-Vincent, sono vecchi ritrovamenti di sepolture di età primo imperiale nell’area dell’hôtel Billia e di iscrizioni funerarie nel sito della chiesa parrocchiale di Châtillon. Una di queste, appartenente al monumento funerario di un sevir augustalis (ministro del culto imperiale), rivela la presenza di un ceto medio benestante, probabilmente dedito ad attività commerciali.

Il sito archeologico in età romana

Una mansio poteva comprendere uno o più edifici, talvolta collocati ai due lati della strada, articolati in ambienti spesso disposti attorno a un cortile centrale. La mansio era provvista di installazioni artigianali connesse con le esigenze del transito – officine e botteghe di carradori, fabbri, mulattieri, portatori, osti – e talvolta, per una maggiore comodità dei viaggiatori, anche di impianti termali.

Distanze medie di 20/30 miglia (30/45 Km circa) misura standard di una giornata di viaggio separavano una mansio dalla successiva o dalla città più vicina. E’ molto probabile che l’impianto termale di cui sono stati riportati in luce alcuni settori nell’area sottostante la chiesa di Saint-Vincent fosse pertinente a una mansio, dunque ad una “infrastruttura connessa al transito”.

Nel sito il terreno, in forte pendenza da monte verso valle, viene riorganizzato in   età romana mediante la creazione di terrazzamenti disposti in senso   est-ovest lungo il percorso stradale antico, probabilmente ricalcato dall’odierna via E. Chanoux. Un diverticolo nord-sud è stato individuato lungo il lato orientale degli edifici: pietre di maggiori dimensioni, forse il limite di una crepidine (marciapiede) definiscono ad ovest i resti di una massicciata stradale.

Uno stretto corridoio di servizio, fiancheggiato da due muri con andamento nord-sud, disimpegna il lato occidentale. Nella porzione orientale della terrazza superiore è stato identificato un primo nucleo edilizio (A), risalente ai primi decenni del I sec. d.C. Di esso rimangono tre ambienti tra cui un ampio vano ipocausto dotato di un praefurnium a est, preceduto da un vestibolo (spogliatoio?).

A questo primo impianto viene affiancata un’ampia area (B), forse una corte scoperta, attraversata da una canaletta di scolo.

La   presenza della strada   moderna non consente di definire l’estensione e l’articolazione planimetrica complessiva, né la funzione di questi edifici verso nord.

Nella terrazza inferiore viene realizzato, nel II-III sec. d.C., un impianto termale (C) che, attraverso successive trasformazioni architettoniche, arriva ad occupare nel corso del IV sec. d.C. tutta l’area disponibile.

Recenti indagini hanno messo in luce i resti di alcuni ambienti (D) collocati su un’ulteriore terrazza a monte dell’asse stradale di età ro- mana che rivelano la progressiva estensione dell’area insediativa. E’ noto che i luoghi di sosta temporanea diventavano spesso punti di aggregazione stabile nel territorio, dando origine allo sviluppo di centri abitati.

Le Terme in età romana

Che   si tratti di   un annesso agli   edifici di una   mansio   lungo   la   via publica o di un balneum autonomo ad uso e consumo degli abitanti di un insediamento sorto lungo la strada, l’impianto termale ritrovato a Saint-Vincent attesta, con la sua presenza in relazione ad un luogo di sosta attrezzato, l’ampia diffusione nella vita quotidiana di un uso igienico divenuto abitudine irrinunciabile per larghe fasce della popolazione.

Dalla   fine del III secolo a.C.   a tutta l’epoca tardoantica l’uso delle terme pubbliche e private si affermò capillarmente diventando, per così dire, un fenomeno di massa nel mondo romano e romanizzato. In questo lungo lasso di tempo l’evoluzione delle terme ha prodotto edifici e complessi di impegno monumentale elevato, sia privati che pubblici, in risposta ad esigenze sempre più articolate, ben oltre le prime istanze che potremmo definire di tipo igienico e ludico. Gli impianti termali si sono progressivamente fatti carico di funzioni diversificate, consentendo la cura del corpo, dai massaggi alla depilazione, ma anche lo svago e l’intrattenimento all’interno di uno spazio che favoriva la socializzazione.

Il carattere   stesso di   servizio   pubblico, implicito nel concetto di mansio, predisponeva, se la natura dei luoghi e la disponibilità di risorse idriche adeguate lo permettevano, all’adozione di questo genere di impianto, vero ristoro per i viaggiatori   e anche memoria delle comodità della vita cittadina.

 

L’edificio termale in età romana – prima fase

Il primo impianto termale che occupa la terrazza inferiore tra la fine del II e l’inizio III sec. d.C., viene ad organizzarsi su un asse est-ovest, all’interno di un recinto murario che sembra aver incluso un’ampia area scoperta ad est. L’orientamento degli ambienti termali segue precisi dettami costruttivi perseguendo così un’esposizione ottimale a sud-ovest.

Un passaggio scoperto separa il balneum dall’edificio della terrazza superiore, mentre un corridoio di servizio sul lato occidentale consentiva di accedere all’ambiente del praefurnium.

L’ala di ambienti così disposta, doveva essere raggiungibile da est, e procedere, nel rispetto di una sequenza di vani collaudata in questo genere di costruzioni, dall’apodyterium (spogliatoio – A), alla zona non riscaldata, il frigidarium (F), e poi a quella tiepida (tepidarium -T), in quanto anticamera del calidarium vero e proprio (C). Tra questo ambiente e il praefurnium (P), il fulcro funzionale delle terme, possiamo forse immaginare la presenza di una vasca, riscaldata direttamente dal vicino focolare.

Una piccola natatio (N) a pianta rettangolare dotata di gradini, che sporge dal profilo serrato dei vani a sud del frigidarium, attesta l’utilizzo di vasche interrate rispetto al piano di calpestio. Dall’invaso fuoriesce una porzione di fistula in piombo che doveva probabilmente scaricare in un condotto posto al di sotto del pavimento dell’ambiente.

Lungo il percorso classico di cui si è detto, procedente dal freddo al caldo, si trovavano bacili (labra) per abluzioni. Non è inoltre escluso che l’impianto fosse dotato di ulteriori vani riscaldati e di ambienti di servizio.

L’edificio termale in età romana – seconda fase

Una ristrutturazione attuata verso la fine del IV sec. d.C., l’ultima dopo una serie scaglionata nel tempo di interventi minori, amplia l’impianto termale verso nord, occupando il corridoio scoperto, e verso est, nell’area precedentemente libera.

Il vano del praefurnium (P) della prima fase viene in grandito e si realizza un nuovo condotto con lastre in pietra che, unitamente a nuovi limiti murari, restringono le aperture tra gli ambienti in modo da favorire la circolazione dell’aria calda. Un ulteriore condotto per la produzione di calore viene inserito nel praefurnium a servizio di un nuovo vano ipocausto (C2) realizzato nell’area precedentemente adibita   al passaggio. Le notevoli dimensioni assunte dal praefurnium suggeriscono l’utilizzo dell’ambiente anche come culina (cucina), funzione attestata dal ritrovamento di vasellame ceramico e vitreo, da fuoco e da mensa, appartenente ad un’interessante panoramica di suppellettili di uso domestico contestuale all’ultimo utilizzo della mansio. Un ambiente absidato (C3) con quattro contrafforti, in aggetto rispetto al fronte sud dell’edificio, movimenta il perimetro del nuovo impianto. In epoca tardoantica, quando questa forma architettonica torna in auge, molti edifici termali, sia pubblici che privati, si dotano di questi vani, che è possibile inserire in contesti già esistenti, dilatandone così lo spazio. Anche nelle terme del Foro di Augusta Praetoria, un corpo absidato viene aggiunto ex novo alla zona del calidarium.

Il nuovo ambiente presenta un’apertura successivamente tamponata verso ovest; potrebbe trattarsi del condotto di alimentazione di un praefurnium funzionale al riscaldamento. la presenza di ulteriori vani pertinenti all’impianto è suggerita da lacerti di murature orientate est-ovest, solo parzialmente indagate in quanto si sviluppano all’interno della cripta della chiesa.

Nel corso di quest’ultima fase l’impianto termale raggiunge la sua massima estensione, occupando gran parte della terrazza inferiore. Purtroppo i dati archeologici, spesso lacunosi e frammentari, non consentono di dettagliare con precisione la funzione dei vari ambienti e l’organizzazione dei percorsi interni.

Il Medioevo

E’ lecito chiedersi se una certa persistente vitalità di queste zone dopo la piena età romana imperiale, non dipendesse dalle opportunità economiche offer- te dal transito, non solo di quello lungo l’asse stra- dale del fondovalle, ma anche da un traffico di porta- ta interregionale. Saint-Vincent è infatti in posizione di crocevia tra Valtournenche e Val d’Ayas che fanno capo a un valico alpino quale il Teodulo, che consen- tiva di raggiungere il Mattertal e l’odierna Zermatt.

I numerosi miliari datati in età costantiniana (inizi del IV sec. d. C.) rinvenuti a Sarre e ad Aosta e, sul versante svizzero, da Bourg-Saint-Pierre al lago lemano, sono il segno di importanti ristrutturazioni dei percorsi alpini e delle loro infrastrutture per nuove esigenze del transito, nell’ambito delle quali si inquadrano bene sia la creazione di nuove stazioni viarie, sia il potenziamento di altre esistenti che arrivano ad assumere la consistenza di veri e propri centri abitati. Le soluzioni adottate hanno assicurato la sopravvivenza della via delle Gallie, la strada romana che è stata per secoli “la strada”, in alcuni tratti in uso come via maestra – le grand chemin – fino al XVIII e al XIX secolo avanzato.

Nel medioevo il territorio di Saint Vincent fece parte della Signoria di Montjovet. Il borgo rivestiva infatti una rilevante importanza commerciale; vi si trova- vano un ospizio per l’accoglienza dei viandanti e numerose dimore nobili che vennero in gran parte distrutte nel corso delle guerre intorno al 1630. E’ verosimile ritenere, sulla base di alcuni documenti d’archivio e di osservazioni del D’Andrade, che il bor- go fosse delimitato da un perimetro murario e che l’accesso principale dovesse essere nei pressi della chiesa di San Vincenzo. Non è escluso che la dispo- sizione delle case lungo via E. Chanoux e di alcune cappelle non più conservate, quale quella a Cisse- yaz, ricalchi la disposizione urbanistica medievale, ma poche sono le tracce architettoniche conservate riferibili a questo periodo.

Oltre a quella di San Vincenzo una delle più antiche chiese della valle è localizzata a Moron, villaggio a monte del   borgo. La chiesa   di Saint-Maurice accoglieva i fedeli della zona collinare e, attraverso i colli, delle vicine vallate di Ayas e Gressoney.

Il primo edificio di culto

Durante il V secolo, probabilmente in concomitanza con l’abbandono della funzione termale dell’impianto romano, la zona orientale dell’antico complesso viene utilizzata come area cimiteriale. All’interno del vano M, probabilmente un mausoleo, sono state ritrovate alcune sepolture ad inumazione, orientate est-ovest, con il capo rivolto ad est e totalmente prive di corredo, tipiche dei primi tempi cristiani. In particolare emerge una tomba a cassa in muratura (T. 63), internamente intonacata, con un rialzo (cuscino) realizzato per   mantenere il capo   sollevato. La tomba, forse destinata a un personaggio importante, è stata ampiamente riutilizzata. La tipologia costruttiva rimanda ai tipi rinvenuti durante gli scavi delle chiese aostane di Sant’Orso, San Lorenzo e Santo Stefano ed è databile, sulla base di confronti con le sepolture tardo-antiche di tutto l’arco alpino, al V secolo.

Attorno a questa importante sepoltura ritroviamo alcune tombe a cassa in tegole fittili. La posizione delle inumazioni vicino a una tomba venerata, costituisce un importante indizio di un culto funerario, in genere riservato ai santi e ai martiri, e quindi testimonia il sorgere di un edificio a destinazione funeraria che tiene conto delle strutture dell’edificio termale precedente.

A questo primo nucleo si aggiunge successivamente un gruppo di tombe di forma trapezoidale delimitate da laterizi di recupero all’interno del limitrofo ambiente A. L’ulteriore presenza di tombe con pareti in lastre di riutilizzo o in semplici fosse terragne distribuite in gran parte dell’area che verrà poi occupata dall’edificio romanico, mostra una ininterrotta continuità di culto tra il periodo dell’inumazione privilegiata e la costruzione della chiesa del 1100. Sembrerebbe quindi dimostrata l’esistenza di un primitivo ambiente di culto, verosimilmente una semplice aula rettangolare absidata orientata in senso est-ovest come le prime sepolture che sembrerebbe riutilizzare in parte alcuni ambienti dell’impianto   romano. La planimetria   originaria e le successive trasformazioni rimangono purtroppo incerte a causa delle distruzioni causate dalla chiesa romanica e da quella moderna.

La Chiesa romanica

La chiesa romanica era a tre navate, terminanti ad est con altrettanti absidi semicircolari, secondo una tipolo- gia documentata in Valle d’Aosta dalle parrocchiali di San Martino di Arnad e di Santa Maria di Villeneuve. L’interno, privo di transetto, era scandito da pilastri lisci a sezione quadrata, circolare e ottagonale. Gli elementi costruttivi, lo slancio verticale, l’ampiezza degli arconi e il linearismo delle navate suggeriscono una datazione dell’edificio tra la fine dell’XI e gli inizi del XII secolo.

La cripta, divisa in tre navatelle e comunicante con il coro e con le navate tramite due accessi laterali, presenta analogie con alcune aule ad oratorio del Piemonte e della Lombardia, quali quelle di San Michele di Oleggio e di San Pietro a Civate.

Pregevoli sono i capitelli scolpiti ad intrecci e a foglie di acanto stilizzate, assegnabili al 1100 circa. Caratterizzati da un notevole vigore plastico, sono riconducibili a maestranze lombardo-piemontesi, la cui cultura rinvia ai repertori decorativi di epoca carolingia. La parte inferiore del   campanile, massiccio e ampiamente rimaneggiato, dovrebbe essere coeva alla costruzione della chiesa romanica e della cripta.

A questa fase costruttiva appartengono alcune sepolture individuate prevalentemente nell’area del sagrato e della navata meridionale. Le tombe sono del tipo ad alveolo cefalico, con lastre disposte a coltello a foderare completamente il taglio della fossa. La copertura è anch’essa in lastre di pietra. Si differenzia dalle precedenti una sepoltura con struttura in muratura, mentre in corrispondenza della navata centrale, verso l’ingresso, è stato identificato un ossario.

La chiesa parrocchiale

La parrocchia di Saint-Vincent viene citata per la prima volta in una bolla di papa Eugenio III datata 26 febbraio 1153, che ne attesta l’appartenenza all’abbazia lionese di Ainay.

Il legame col celebre centro monastico francese, attuato attraverso la dipendenza dal priorato di Nus, sottolinea il prestigio di questa parrocchia, tra le più ricche e popolose della Valle d’Aosta sin da epoche remote. L’attuale chiesa parrocchiale, dedicata a San Vincenzo di Saragozza, è il risultato di numerosi interventi architettonici susseguitisi nel corso dei secoli, che ne hanno profondamente modificato l’assetto.

Nella prima metà del XV secolo la chiesa fu oggetto di vasti interventi di restauro. L’abside centrale, che presentava problemi statici, venne demolita e ricostruita esternamente con archi a sesto acuto ed archetti ornamentali. All’interno venne ridotto il catino absidale con il raddoppio della muratura. il grande arco trionfale gotico, ancor oggi visibile, venne innestato nel prece- dente arco romanico.

Nel 1696, a seguito di un incendio che distrusse   il soffitto della chiesa, vennero costruite le attuali volte della navata.

Nel 1889 la facciata affrescata venne demolita e la chiesa fu prolungata di due campate ad opera dell’architetto Camillo Boggio, al quale si deve anche la trasformazione neogotica del castello di Saint-Pierre.